[La brugola del Romeo – 10ª tappa] Proseguono le cronache del Giro d’Italia visto da La Bottega del Romeo – dal 1935 | in esclusiva su La Repubblica delle Biciclette
“Colori che cambiano, colori che migliorano. L’importante è la giusta misura” – di Lorenzo Franzetti ⚙️
«Vorrei una maglia da ciclismo, ne vendete qui?» entra di corsa un uomo distinto di mezza età. Mostro, annuendo, la vetrina a due metri che espone maglie e accessori sembro convincente.
«Sì ma ne vorrei una blu taglia L, blu».
«Prego venga» lo invito a seguirmi nel locale accanto all’ingresso della bottega, arredato con gli scaffali dell’abbigliamento. E mostro le maglie, quelle rigorosamente blu.
«No, guardi non sono abbastanza blu, caso mai volessi una blu delle vostre vi faccio sapere. Io ho in mente un altro blu» e se ne va. E sono le prime avvisaglie di una giornata non perfetta.
Ci sono tanti blu nella fantasia dei colori, c’è un bel cielo blu anche nelle Marche, sopra la carovana del Giro: lo si nota anche dalla televisione, sopra due ali di folla incastonate tra mura antiche e colline meravigliose, quelle marchigiane.
Scatta il “nostro” Covi e, più veloce di Pozzovivo, entra in negozio una signora per acquistare la sua prima gravel. Aveva telefonato poche ore prima, chiedendo un appuntamento: «Se lei potesse dopo le 17,30…» avevo cercato di indirizzarla verso orari fuori dal Giro. Eh niente, un’ora prima e con la tappa in piena bagarre, eccola presente».
La invito ad attendere qualche minuto, il Diego è troppo agitato sotto la tv: «L’avevo detto che oggi sarebbe stata la sua tappa», con infantile partigianeria, si lascia andare a considerazioni che suonano come gufate. Siede, senza star fermo, sullo scatolone di una bici appena arrivata via corriere espresso. La signora entra in officina, sul retro della bottega, proprio in quel momento e capisce: «Ah, ecco perché volevate che arrivassi dopo le 17,30».
«Ma no, ma si figuri, la bici è pronta e gliela consegno subito», provo a tranquillizzarla.
«Ma come?! Non me le prende le misure», chiede con un finto sottovoce, abbassando gli occhiali dal sole sul naso. In quel momento, il Diego si volta, osserva corrugando la fronte e arriva in mio soccorso. «Sa, io è da sessant’anni che faccio le misure e metto in sella le persone. Prima di me, mio padre, poi io e poi lui» e mi indica. «Io, per esempio, ho preso le misure anche di quel ragazzo là» e indica la tivù, dalla quale sembra venir fuori, a tutta velocità ancora il nostro Covi, in testa al gruppo all’ultimo chilometro. E comincia così, il suo racconto: la saga dei Covi, padre, madre, zio e figli è un classico del repertorio d’intrattenimento del Diego. E si comincia sempre dagli anni Settanta: considerando che Alessandro Covi è nato a settembre ’98 la prende piuttosto larga. Ma intanto prende tempo e la corsa entra nel vivo, la signora si fa persino coinvolgere e fa il tifo a caso, per questo o quello, “bravi, che bravi eh: ma chi è il più forte ora, io ero rimasta a Ivan Basso”. E’ di fronte a questo simpatico e incompetente quadretto che va in scena un pezzetto di storia del ciclismo: la volata finale, spettacolo pure, sembra un braccio di ferro tra Biniam Girmay e Mathieu Van der Poel. Prevale l’eritreo con un gran numero. «Ah ma ha vinto quello? Ma è nero. Io non ci capisco più nulla, rispetto ai miei tempi». Ai suoi tempi ci capiva, insomma, ora non si capacita che le cose, le bici e i campioni siano cambiati.
Il Diego, invece, vorrebbe un interlocutore che gli possa dare l’assist per poter polemizzare con la tattica del team Uae, che non ha tutelato abbastanza il suo “nipotino”. Ci prova, a brontolare, ma con la signora non c’è scintilla che tenga. Lei pretende che le si prendano le misure: «Complimenti signora, belle misure», non mi faccio sfuggire la palla gol, mentre la faccio salire in sella tenendola in equilibrio, accanto al bancone dell’officina. La signora si compiace, la bici è venduta. E se ne va via felice con il suo nuovo acquisto.
Cronache minime di una giornata che il Diego immaginava trionfale, ma che ha fatto comunque commuovere e appassionare. Anche chi pensava che il ciclismo fosse finito con Ivan Basso.
L’Africa pedala forte. Anche a Ispra: l’uomo del giorno, mentre in piazza si boccheggia dal caldo, è Joe, giovane senegalese che pedala verso casa, al termine di una giornata iniziata all’alba. La bici lo porta a lavorare ad alcuni chilometri dal paese. Non può permettersi un mezzo troppo costoso, pedala su una vecchia bici che, spera, non lo abbandoni. Ma è talmente sgangherata che tutto potrebbe succedere…«Se devi scendere al lago – il paese è su un promontorio, mentre la riva è in basso – vacci a piedi perché se vai con la bici prendi velocità e rischi di non fermati. E finisce che fai un bel tuffo», scherzo con lui. Joe non sa cosa è il ciclismo, non conosce Girmay e nemmeno il Giro d’Italia, ma pigia sui pedali per la sua volata giornaliera. E non è molto diverso dai tanti operai che ogni giorno lasciava il paese all’alba per andare a lavorare fuori, pedalando, passando velocemente dalla piazza, salutando con la mano il Romeo, che li guardava dalla vetrina. Passato e presente, le cose cambiano, ma non così tanto, a ben vedere: le giornate migliorano, tuttavia, quando aumenta la varietà dei colori.
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